Il cuore di Gregorio Paltrinieri
Il campione ottiene un'altra medaglia olimpica dopo i Giochi di Rio 2016.
Chiudiamo l’approfondimento dedicato al nuoto con un altro nome che continua a scrivere la storia di questo bellissimo sport. Nella notte giapponese un atleta italiano ha strappato la medaglia d’argento ai Giochi di Tokyo e, trattandosi di una medaglia olimpica, rappresenta senz’altro un grandissimo risultato. Ma dietro c’è dell’altro, e quella medaglia diventa un’impresa epocale.
Succede che a fine giugno Gregorio Paltrinieri, campione e recordman dei 1500 metri stile libero, contragga una malattia subdola e fortemente debilitante: la mononucleosi. L’infezione lo colpisce appena dopo gli Europei di Budapest, durante i quali aveva conquistato cinque medaglie di cui tre d’oro. Con una malattia del genere non si hanno possibilità, in particolar modo in una disciplina che richiede un notevole sforzo fisico, e così gli viene consigliato di lasciar perdere, di mollare. Da un mese, e anzi fino a pochissimi giorni fa, si era sparsa la voce che sarebbe stata una disfatta, quella di Tokyo, per Paltrinieri. D’altronde sembrava ovvio, come puoi competere con i più forti al mondo se hai dovuto rinunciare a tantissimi allenamenti proprio nel momento decisivo di preparazione alle gare? Come puoi pensare di competere non con dei semplici bravi nuotatori, ma addirittura con i più forti al mondo della specialità, e in queste condizioni? È improbabilistico pensare che tutto ciò possa accadere in un film, figuriamoci nella realtà. Eppure tutto questo non conta, se ti chiami Gregorio Paltrinieri.
Gregorio si era qualificato alla finale degli 800 metri stile libero con l’ultimo e ottavo posto: si preannunciava un disastro, quantomeno una semplice comparsa, ma niente più. Era inevitabile. Così, la gara ha inizio. Ben 16 vasche interminabili in cui chi cede il passo è perduto. Consapevole di non avere i mezzi fisici per competere in uno sprint testa a testa, Greg decide di partire subito forte sperando di creare il giusto vantaggio sugli avversari. Ed è ciò che avviene per tre quarti di gara abbondanti, fino a quando – come inevitabile che sia – gli altri nuotatori si fanno sotto. Il campione nato a Carpi tenta in tutti modi di resistere, di conservare una folle – davvero, folle – prima posizione. Paltrinieri mette tutto se stesso, resiste e – dimenticandosi della mononucleosi – spazza via le parole di chi gli aveva suggerito di lasciar perdere. Al fotofinish solamente l’americano Finke riesce a sorpassarlo. Per un soffio.
In testa ai 100 in 55″15, ai 200 in 1’52″86. Nella vasca di ritorno nuota laterale quasi toccando la corsia. Ai 300 allunga in 3’50″55, mentre nelle corsie centrali non accennano a rispondere all’azzurro che viaggia a 29″5 di media. Ai 600 in 5’48″05 resta in testa ma Romanchuk e Wellbrock stavolta contrattaccano. Ai 750 metri Greg resiste in 7’14″02 ma al tocco è secondo. Questa è la sintesi di una gara che, al di là delle parole, è stata emozionantissima.
Di quest’impresa resta la consapevolezza che il migliore al mondo negli 800 metri stile libero – e non solo – è italiano. Perché Finke, a parità di condizione fisica, avrebbe visto Paltrinieri col binocolo. Ma va bene così, anzi questo risultato sarà impossibile da dimenticare e, per noi, vale tanto più di un oro.
“Parlare di miracolo è poco, non ci avrei scommesso neanche io. Ma stavolta ci ho messo il cuore”. Queste sono state le prime parole di Paltrinieri dopo la finale. “È bellissimo – ha aggiunto il nuotatore azzurro ai microfoni della Rai – oggi ero un’altra persona rispetto alla batteria, con un’altra mentalità, un’altra cattiveria e voglia di gareggiare. Me la sono vissuta al meglio. Ieri sera un mio grande amico mi ha detto che queste grandi finali non si affrontano con la testa ma con il cuore, è l’unico modo per uscirne soddisfatto. Io forse ero caduto troppe volte nella mia vita nell’errore di voler programmare tutto. Avevo messo troppa testa, troppi pensieri confusi, ma queste finali si vincono col cuore. Gli altri potranno star meglio di me fisicamente e preparare meglio la gara tatticamente, ma il cuore che ci metto io è troppo”. Ed è proprio vero, Gregorio.